Angelo Ferracuti: uno scrittore dalle due vite

E' difficile decifrarlo di primo acchito. Lo vedi poco in giro. Qualche volta per strada, qualche volta al bar di Piazzetta per un caffè ma, soprattutto, per comprare il giornale: il Manifesto, sia perché è un "sinistrese" devoto (ma non pedissequo), sia perché lui sul
Manifesto ci scrive spesso reportages. Quando lo incontri è gentile ma schivo, di poche parole, ti dà l'idea di uno molto timido o molto assorto. Forse più assorto: nei suoi pensieri, negli argomenti che ha in testa per il suo prossimo libro, come se continuamente prendesse mentalmente spunti e appunti. Insomma, chi è Angelo Ferracuti? A domanda diretta, è costretto a rispondere. Ti aspetteresti che ti dica che è uno scrittore, e invece mette in primo piano l'uomo, i suoi sentimenti, le sue priorità: "Sono una persona normale che, dopo un breve periodo di vedovanza, si è risposato e che insieme ad Alessandra ha rimesso insieme, da pezzi dispersi di due famiglie, una famiglia serena. E questo ha ovviamente condizionato favorevolmente le cose che faccio nella mia seconda vita".
Dice proprio così: la sua seconda vita, quella, appunto, di scrittore. La "prima" vita, quella che gli garantisce il minimo per campare, è cominciata 30 anni fa, quando è stato assunto alle Poste: 15 anni a pedalare da portalettere a tempo pieno; poi, 10 anni fa, "un periodo strano, transitorio: per due anni ho lavorato per Corrado Passera". Guarda tu il destino: che ci faceva un tipo così con un Tipo così? Un caso: a Passera non sfuggirono delle pubblicazioni di Angelo, lo contattò alla Feltrinelli e dopo pochi mesi lo ingaggiò per lavorare in una sorta di Centro Studi a Roma, dove preparava Progetti Speciali. Ma l'ambiente non gli si confaceva (ma va?) e quando Passera e i suoi emigrarono in Banca Intesa Ferracuti se n'è tornato in Posta, al paesello. Dove da 10 anni lavora tre giorni la settimana, così ha più tempo per la sua seconda vita.
Ma da dove viene Angelo Ferracuti, culturalmente parlando? E da dove vuoi che venga? Sempre da lì, da quegli anni e da quella feconda fucina di idee che produsse gente di vaglio: Musati, Savini, Del Zozzo... Erano tempi eroici per chi cercava di fare e praticare discorsi e percorsi nuovi: i tempi della rivoluzionaria rivista Alias, ad esempio, che arrivava a rompere un silenzio assordante. Ferracuti era il più "piccolo", la mascotte, e frequentare persone più grandi, più strutturate, più colte fu un'esperienza molto formativa. "C'era Joyce Lussu che ci trattava malissimo, ma che fu anche molto affettuosa. Il primo approccio era terrificante, tornavi a casa con le ossa rotte. Erano vecchi maestri di cui oggi si sente la mancanza: anche se allora ci sembravano ingombranti, occupavano un ruolo che oggi è venuto a mancare". E come ha cominciato il Ferracuti scrittore? Per caso: lesse sull'Unità il bando di un concorso per un racconto giallo che (si affretta a precisare) è l'unico che ha scritto in vita sua. Il suo fu scelto tra i dieci racconti che poi furono pubblicati: per uno che era quasi un ragazzino fu un'iniezione di fiducia. Cronologia: prima pubblicazione con Rizzoli, andò malissimo.
Poi incontra Mario Dondero che lo spinge ad abbandonare la finzione e a dedicarsi a storie vere. Detto e fatto: racconti dove riecheggiava la fine dell'esperienza politica tra gli Anni '70/'80 vissuta in provincia. Su consiglio di Joice Lussu e Giovanna Bemporad li presentò a una casa editrice, dopo un paio d'anni uscì il libro, non ebbe troppa fortuna, ma qualcuno ne scrisse. Era intitolato "Norvegia", un omaggio indiretto a Luigi Di Ruscio che, per gente come il giovane Angelo, era un faro. Dopo arriva "Nafta", un romanzo breve edito da TransEuropa: ci scrissero un bel pezzo su "Tutto Libri" della Stampa, che suscitò altra attenzione e altri articoli su altri giornali. E il nome di Angelo Ferracuti cominciò a viaggiare: lo cercarono anche grossi editori come Rizzoli e Guanda. Andò a Milano e firmò il suo primo contratto per due libri: un romanzo, non pubblicato, e un'altra raccolta di racconti intitolata "Attenti al cane", su cui la stampa scrisse molto. "Ci ho vinto un sacco di premi, sono stato finalista anche a un premio negli Stati Uniti...", ci dice un po' civettuolo. Nel 2006 pubblica con Feltrinelli altre storie di lavoro in un libro che si intitolava "Le risorse umane" e che è andato molto bene. Poi "Viaggi da Fermo" e, con Daniele Maurizi (altro giovane virgulto di genio, ma nel campo della fotografia), "Il mondo in una regione", dove racconta il mondo dei migranti nelle Marche.
E adesso cos'è che lo intriga, che lo rende assorto? Un altro libro targato Einaudi, per una bella collana che si chiama Frontiere e tratta di storie vere. Ferracuti ne ha scelta una drammatica: la ricostruzione della più grande tragedia operaia del dopoguerra, che avvenne a Ravenna nel 1987 dentro a una nave gasiera. Vi morirono 13 operai che lavoravano in condizioni disumane, 13 dei tanti che morivano e seguitano a morire a causa della mancanza di sicurezza nei posti di lavoro. Questa è la scelta di Angelo: scomoda, dolorosa, ma importante a livello di denuncia sociale. Meno commerciale, certo: ed è per questo che Angelo è costretto ad avere due vite, ma la coerenza è coerenza. Per il futuro? Un documentario su Luigi Di Ruscio, ma sulla sua vita a Oslo, raccontando di lui quella pagina che molti non conoscono. Insomma, nella sonnolenta cultura fermana, la brace cova sotto la cenere. E c'è da sperare che presto scoppi un falò. Specie finché esiste e resiste gente come Angelo Ferracuti che con modestia, con determinazione, con onestà intellettuale continua a scrivere e descrivere la realtà. Il prossimo libro sarà il decimo. Dal '93. Non c'è male. Il ragazzo promette bene.

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